1) Acclamare Gesù come Re
All’inizio della celebrazione, la folla acclama Gesù come re durante la processione, riprendendo le parole del Vangelo di Luca: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore”. È una folla di discepoli che lo riconosce "re" per i miracoli e i prodigi che ha compiuto. Il Vangelo di Luca ci racconta in altri passi che il loro riconoscimento è parziale e incerto: comprendono i segni, ma faticano a credere pienamente che sia il Messia. Gesù stesso piange su Gerusalemme perché non ha riconosciuto “il giorno della grazia”. Come loro, anche noi possiamo avere momenti di entusiasmo e altri di dubbio nella nostra relazione con Cristo. Lo acclamiamo, lo ringraziano per le cose belle che ha fatto e fa per noi.
2)Gesù Re nell’Ultima Cena
Un momento cruciale in cui Gesù viene riconosciuto come re è durante l’Ultima Cena. In quel contesto, egli spezza il pane e offre il calice del suo sangue come nuova alleanza, un gesto che prefigura il dono totale di sé. Solo nel Vangelo di Luca, Gesù aggiunge: “Non mangerò più del frutto della vite finché non venga il Regno di Dio”, indicando che la piena realizzazione del Regno è ancora da venire. L’Eucaristia, quindi, è un’anticipazione della comunione piena con Lui che avverrà alla fine dei tempi. Inoltre, Gesù insegna che nel suo Regno non c’è spazio per la logica del potere terreno: “Chi è il più grande si faccia il più giovane, il servitore”. È un Regno di servizio, non di dominio.
3) La Regalità davanti alle Autorità
Nel racconto della Passione, Gesù è accusato di essere “Cristo Re” e di sobillare il popolo. Ma né Pilato né Erode lo considerano un pericolo reale: non vedono in lui un rivale politico, bensì un innocente. La sua regalità non somiglia in nulla a quella dei re della terra. Anche quando Pilato interroga Gesù, questi risponde: “Il mio regno non è di questo mondo”. Questo ci invita a riflettere su come spesso noi stessi possiamo esercitare un potere terreno, mentre il Regno di Gesù si manifesta in modo completamente diverso, privo di forza coercitiva e pieno di umiltà.
4) Gesù Re sulla Croce
Il momento più profondo e autentico del riconoscimento della regalità di Cristo è sotto la croce. Qui si delineano due atteggiamenti: quello dei soldati e della folla, che lo scherniscono dicendo “Salva te stesso, se sei il re”, e quello del ladrone crocifisso con Lui. Quest’ultimo, pur nella sua condizione di peccatore e condannato, riconosce Gesù come Re e gli dice: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. È un gesto di fede pura, priva di interesse, che riceve una risposta immediata: “Oggi sarai con me in paradiso”. Il Regno di Gesù è qui e ora, in quella comunione profonda che nasce dalla condivisione della sofferenza e dell’amore.
Il Testimone Silenzioso: Giuseppe d’Arimatea
Infine, l’ultimo personaggio che riconosce la regalità di Gesù è Giuseppe d’Arimatea. Uomo ricco e membro del Sinedrio, va con coraggio a chiedere il corpo di Gesù e lo depone nel sepolcro nuovo. Il Vangelo dice di lui che “aspettava il Regno di Dio”. In lui si sintetizzano tutti i modi di riconoscere la regalità di Cristo: con coraggio, con speranza, con attesa attiva. È una figura a cui guardare in questa Settimana Santa: come lui, anche noi siamo chiamati ad aspettare e desiderare il Regno, celebrandolo con gioia nell’Eucaristia, riconoscendolo nel contrasto con i regni terreni e, soprattutto, nella nostra personale croce.
Attendere il Regno con Intimità
In questa Settimana Santa siamo invitati a metterci alla scuola di Giuseppe d’Arimatea, diventando “aspettatori del Regno”. Lo celebriamo nella liturgia, lo riconosciamo nella fragilità, lo invochiamo nei momenti di sofferenza, lo desideriamo nelle nostre preghiere. Cristo Re non impone il suo dominio, ma chiede di essere accolto con umiltà e semplicità, nella profondità della nostra vita quotidiana. In ogni gesto, in ogni Eucaristia, in ogni dolore vissuto con fede, possiamo ripetere: “Gesù, ricordati di me nel tuo regno”.