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L’immagine così bella del Vangelo di oggi, “Rimanete in me e io in voi”, ci parla della nostra relazione profonda con il Signore. È un’immagine forte, che si illumina grazie anche alla pagina degli Atti degli Apostoli che stiamo leggendo in questi giorni, in particolare quella ambientata ad Antiochia di Siria. Là c’è una comunità mista, formata da giudei cristiani e da pagani convertiti. E proprio in quel contesto nasce un problema: alcuni venuti dalla Giudea iniziano a insegnare che, se non ci si fa circoncidere secondo la legge di Mosè, non si può essere salvati.

Questi uomini arrivano da Gerusalemme, cioè dal centro del culto e dell’autorità religiosa, e portano un messaggio che, più che unire, divide. È come se dicessero: “Se non diventate come noi, non potete far parte della comunità”. È una logica che possiamo ritrovare anche oggi, quando qualcuno si erge a detentore della verità, dicendo: “Io so come si fanno le cose, io vengo dalla parrocchia, io ho la dottrina corretta”. Sono atteggiamenti che possono lacerare, che giudicano e pongono condizioni per l’appartenenza. Diventano pretesto per farsi maestri e per escludere.

Ma a questa rigidità si oppongono Paolo e Barnaba, i nostri compagni di viaggio in questi giorni. Discutono animatamente, dissentono, non accettano questa chiusura. E trovo bellissimo che nella Chiesa ci sia spazio per il confronto, per il dissenso sincero. Non tutto è pacificato, eppure si sceglie di camminare insieme, di non rimanere fermi nel conflitto. Così Paolo e Barnaba decidono di salire a Gerusalemme per sottoporre la questione agli apostoli e alla comunità.

Durante il viaggio, non fanno propaganda o polemica. Invece di fomentare divisioni, raccontano ciò che hanno vissuto: la conversione dei pagani, le meraviglie del primo viaggio missionario. Questa testimonianza suscita gioia e gratitudine nelle piccole comunità che incontrano. Non alimentano lo scontro, ma seminano speranza.

E proprio qui ritorna in maniera più viva l’immagine della vite: Cristo è la vite, noi siamo i tralci. È un’immagine plurale, di comunione. Ogni tralcio ha valore solo se porta frutto, e per farlo deve rimanere unito alla vite. Ma anche la vite ha bisogno dei tralci per produrre uva. È un’immagine che ci dice che siamo legati, uniti gli uni agli altri, e che anche la potatura – quel taglio che purifica – può essere vista come un momento di discernimento, di confronto fraterno. Una potatura che avviene non per escludere, ma per aiutare ciascuno a portare frutto.

Il vero problema, infatti, non è il conflitto o la discussione, ma il rimanere sterili, senza frutti. Senza Cristo, non possiamo fare nulla. Il Signore desidera la nostra comunione con Lui, e anche tra di noi. La vite senza tralci perde senso. I frutti passano attraverso di noi, attraverso la nostra unità. Per questo vogliamo accettare il dialogo, il confronto, anche il conflitto, ma sempre in uno spirito di accoglienza e di ascolto reciproco, per camminare insieme e glorificare Dio con la nostra unità.