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Riflettendo su Tommaso, comprendo quanto sia stato difficile per lui credere nella risurrezione. Le ferite di Gesù, i segni dei chiodi nelle mani e nel fianco, sono per lui un ostacolo. Vedere il proprio Maestro crocifisso, così vulnerabile e distrutto fino alla morte, lo ha profondamente segnato. Quando gli altri discepoli gli raccontano di aver visto Gesù, lui non riesce a crederci: ha bisogno di toccare con mano quelle ferite, perché non riesce a conciliare la gloria di Gesù con il dolore della sua passione.

Gesù conosce le nostre ferite

Gesù lo sa bene. Quando appare ai discepoli chiusi per paura, la prima cosa che fa è mostrare loro proprio le mani e il fianco. Quei segni sono fondamentali anche per gli altri discepoli per poterlo riconoscere. Questo mi fa capire quanto sia difficile anche per noi accettare che la vita nuova passi attraverso le ferite. Gli Atti degli Apostoli raccontano della folla che corre dagli Apostoli portando i malati: sono segni visibili della fede, perché portano le loro sofferenze a chi può riconoscere in esse il Signore risorto.

Portiamo a Gesù le nostre ferite

Mi colpisce molto pensare che, anche oggi, noi facciamo la stessa cosa: portiamo a Gesù i nostri genitori anziani, i figli con difficoltà, gli amici malati. Non ci basta una favoletta sulla risurrezione, abbiamo bisogno di vedere i segni, di toccare le ferite. È lì che nasce la vera fede. Quando i malati arrivano dagli Apostoli, si crea una grande accoglienza, una comunione. Si uniscono, si sentono parte di una famiglia.

L'esempio di Papa Francesco

In questi giorni ho pensato molto a Papa Francesco, che abbiamo accompagnato nella preghiera. Rivedendo le sue immagini, il suo modo di avvicinarsi ai fragili – ai bambini, agli anziani, ai disabili – mi commuove profondamente. Con uno sguardo pieno di protezione e amore, con un abbraccio, li faceva sentire accolti. Era un segno vivo della comunione con il Signore, rendendo visibile l'amore che nasce dall'incontro con Gesù risorto.

Gesù non abbandona Tommaso

Gesù non lascia perdere Tommaso. Torna da lui dopo otto giorni, sempre con quel saluto di pace e mostrando le ferite. È come se volesse dirgli che la fede nel Risorto nasce proprio lì, dove le ferite non sono più l’ultima parola. Gesù, pur portando ancora i segni della passione, è trasfigurato. È risorto, è vivo. E così anche noi, guardando i nostri cari che vivono la sofferenza con fede, vediamo il volto di Cristo.

Fratelli e compagni nella tribolazione

Giovanni, nell’Apocalisse, si definisce fratello e compagno nella tribolazione. Questo mi fa pensare a quanto la fede si radichi nella condivisione del dolore. Quando i nostri cari accolgono la sofferenza come un’offerta di fiducia, ci mostrano il Signore. È lì che nasce la nostra fede nel Risorto.

Due doni: stare insieme e perdonare

Gesù dona ai discepoli due piste fondamentali: lo stare insieme e il perdonare. La fede nella risurrezione si vive nella comunità, non isolati sul divano di casa. È nel camminare insieme, nel sostenerci con tutte le nostre fragilità, che sperimentiamo la vita nuova. E poi c’è il dono, difficile ma essenziale, del perdono.

La forza del perdono

Ricevendo lo Spirito Santo, i discepoli ricevono il mandato di perdonare. Perdono che non è facile, soprattutto di fronte a tradimenti, ingiustizie familiari, abbandoni. Ognuno di noi potrebbe portare esempi personali. Ma è proprio lì che il Signore ci invita: a sciogliere il male, a non lasciarlo condizionarci, a liberare il cuore attraverso il perdono. Questo è un altro segno della risurrezione.

Vivere da risorti nelle ferite

Il Signore affida ai suoi discepoli questo ministero: essere strumenti della Sua misericordia. Così, anche noi, oggi, possiamo accogliere la visita del Risorto nelle nostre case, famiglie e vite. Possiamo imparare da Lui come vivere le nostre ferite, le nostre malattie, nella luce della risurrezione.

Una vita di accoglienza e perdono

La vita cristiana è vita di accoglienza e di perdono. È una vita da risorti che non ignora la sofferenza ma la abbraccia e la trasforma. Possiamo anche noi mostrarci le mani e il fianco tra di noi, senza paura, fidandoci dell'accoglienza fraterna. Perché solo così riconosciamo davvero il Signore risorto in mezzo a noi.