Quando ho ascoltato questa parola, seminare, mi ha colpito per la sua bellezza e forza. È un verbo che oggi usiamo poco: chi di noi semina? Eppure è proprio da qui che voglio partire, perché questo verbo, così concreto, racchiude tutto ciò che facciamo nella nostra vita: il lavoro, la carità, il volontariato, la cura dei nostri cari, il nostro servizio quotidiano. Tutto può essere riassunto così: seminare.
E se torniamo alla sua immagine originaria, pensiamo al contadino che sparge i semi a mano, in modo abbondante, senza calcoli, quasi “sprecando”. Non come le seminatrici moderne che distribuiscono ogni seme con precisione. No, Dio è un seminatore sprecone. È questo che ci mostra Paolo, citando quel salmo: “ha allargheggiato, ha dato ai poveri”. Ha sparso, ha disperso, potremmo dire. E noi siamo chiamati a fare lo stesso.
La qualità del dono conta più della quantità
Dio non guarda alla quantità, ma al modo in cui seminiamo. E allora la domanda è: come semino io? Lo faccio con calcolo, per ricevere qualcosa in cambio? Lo faccio controvoglia, o costretto da doveri sociali o religiosi? Oppure lo faccio con gioia, nella libertà, come Dio? Il Vangelo ci mette in guardia da una religiosità ipocrita, che esibisce il digiuno, che ostenta la carità.
Dio, invece, dà ai poveri, cioè a coloro che non possono ricambiare. Questo è il cuore della vera generosità: donare senza aspettarsi nulla, donare da un cuore libero. È l’amore che non fa conti, non misura, non aspetta riconoscimenti. E questa è la bellezza della fede: ci permette di amare in modo “sprecone”, come fa il Padre.
Il seme non è nostro: è di Dio
Una cosa meravigliosa che Paolo ci ricorda è che il seme non è neppure nostro. È Dio che ci dà la semente. È Dio che ci dà la forza, la capacità di amare. Noi siamo seminatori di un seme che ci è stato affidato. Allora non ci perdiamo nulla, non stiamo sprecando, perché quello che riceviamo, lo restituiamo.
E questo dà senso anche ai nostri piccoli gesti quotidiani: nelle relazioni con i colleghi, con i figli, con il marito o la moglie, nella comunità. Anche quando ci sembra che nessuno dica “grazie”, noi vogliamo seguire lo stile di Dio. Uno stile che dona, perché attinge a una sorgente inesauribile: l’amore di Dio.
Un’amore senza calcoli, una vita offerta
L’unico vero problema, ci dice Paolo, non è la scarsità di seme, ma la povertà di seminatori generosi. Dio ha seme in abbondanza, ma spesso noi abbiamo il “braccino corto”. Ecco perché la generosità non è solo una virtù personale, ma è ciò che rende viva la comunità. È la generosità che fa salire a Dio il ringraziamento autentico.
Quando viviamo così, la nostra vita diventa un’offerta. Non è solo una serie di azioni buone, ma è un modo di essere, una spiritualità concreta. È quello che ha fatto Gesù, che ha seminato fino a dare tutto se stesso, fino alla croce. Anche Lui ha sprecato la sua vita, ma per amore. Anche noi vogliamo camminare su quella via.
Conclusione: seminatori secondo il Cuore di Dio
E allora, oggi più che mai, voglio imparare ad essere un seminatore secondo il cuore di Dio. Voglio vivere la mia fede non con calcolo o paura, ma con larghezza, con gioia. Voglio donare anche quando non ricevo, voglio servire anche quando non mi si riconosce. Perché il seme che ho in mano non è mio, è Suo. E Lui mi chiama a spargerlo con abbondanza, a perdere per amore, per trovare la vita vera.
Ringrazio il Signore perché ci dà sempre di più di quanto osiamo chiedere. Ci dà da seminare e ci accompagna nella semina. Che la nostra comunità possa essere conosciuta per la sua generosità e che in tutto questo, Dio sia lodato.