Mi ha colpito profondamente l’incontro tra Dio e Abramo, o meglio Abram, come viene ancora chiamato al capitolo 15 della Genesi. È un incontro notturno, quasi un combattimento interiore, dove Dio si rivolge a lui con parole piene di tenerezza e protezione: “Non temere, Abram, io sono il tuo scudo, la tua ricompensa”. È un'immagine che mi consola. Dopo le fatiche appena vissute da Abramo — la liberazione di Lot, l’incontro con Melchisedec — il Signore lo raggiunge nella vulnerabilità, lo rassicura e lo protegge.
Eppure, Abramo non tace. Pone una domanda che mi risuona nel cuore: “Signore, che cosa mi darai?” È una domanda vera, forse un po’ stanca, forse figlia della disillusione, ma anche profondamente umana. Abramo non ha ancora visto realizzarsi la promessa della discendenza. E Dio non lo rimprovera. Al contrario, lo invita a uscire dalla tenda, a guardare il cielo stellato, a contemplare una promessa grande come quelle stelle. “Tale sarà la tua discendenza”. E Abramo ci crede. Non vede ancora nulla, non ha ancora quel figlio, ma ci crede. Questo suo atto di fiducia è ciò che mi interpella oggi.
La chiamata a uscire dalla nostra tenda
Il gesto di Abramo — uscire dalla tenda, alzare gli occhi e fidarsi — è un invito anche per me. Spesso resto chiuso nella mia zona di conforto, nei miei limiti, nelle mie logiche ristrette. Ma Dio mi chiama a uno sguardo nuovo, a un’apertura, a un fidarmi di Lui anche quando non ho ancora visto nulla realizzarsi. Non si tratta di chiudere gli occhi alla realtà, ma di aprirli a una prospettiva diversa: quella della promessa di Dio. Questo atto di fede, questo movimento interiore verso la fiducia, è il cuore della nostra relazione con il Signore.
La notte oscura: luogo di alleanza
Ma la notte di Abramo non è finita con lo sguardo alle stelle. Il testo prosegue raccontando una lotta interiore, un terrore profondo che si impadronisce di lui. In quel buio, Dio entra ancora più profondamente. Passa in mezzo al sacrificio, segno visibile della Sua alleanza, e si lega ad Abramo con un patto nuovo. È proprio nei momenti più oscuri, in cui ci sentiamo persi, che Dio non si ritira. Si fa presente, si impegna con noi. Non ci lascia soli.
Questa immagine mi commuove. Il Signore non solo parla nella luce, ma visita anche le nostre oscurità. E lo fa con una fedeltà disarmante. Mi rinnova le Sue promesse: “Questa terra sarà tua”, “Io sono con te”, “Non temere”. Non si spaventa delle mie domande, delle mie paure. Entra, invece, nel mio dubbio e lo trasforma in alleanza.
Fede come consegna e fiducia radicale
Allora oggi, con Abramo, mi sento chiamato a consegnare tutto a Dio: la mia vita, la mia speranza, le mie attese. A dire: “Signore, io credo in te. Continua ad assistermi”. Questo è il senso profondo della fede: non un vago ottimismo, ma una fiducia che si consegna totalmente, anche quando non vede nulla, anche quando la notte sembra non finire.
Questa storia di fiducia comincia con Abramo, ma trova il suo compimento supremo in Gesù, nel suo atto d’amore sulla croce. Ed è proprio quel filo rosso che attraversa la storia della salvezza, passando da Abramo, arrivando fino a me, oggi, in questa assemblea. E questo filo mi dà forza, mi incoraggia a entrare anch’io in quella dinamica di alleanza e fiducia, che è la vera via del discepolo.