Listen

Description

Oggi mi soffermo sulla prima lettura, anche se il Vangelo rimane molto intrigante con i suoi inviti a seguire Gesù a qualsiasi costo. Mi ha colpito in particolare Neemia, un uomo che ha avuto un grande coraggio. La sua tristezza è evidente e non può essere nascosta: il re stesso se ne accorge. Non era mai stato triste davanti a lui, eppure in quel momento il dolore traspare.

La sua tristezza non è per se stesso, ma per il suo popolo, deportato e con la città in rovina. È un dolore che diventa universale, perché dentro la sua tristezza io riconosco anche le mie e quelle di ciascuno di noi, grandi e piccole.

Santa Teresina e il valore del dolore

Questa esperienza di Neemia mi richiama Santa Teresa di Gesù Bambino, la piccola Teresina, che pur essendo una santa dall’animo forte, ha attraversato momenti di sofferenza profonda. Lei ci insegna che il dolore non va vissuto da soli, ma dentro una relazione con Dio: come dialogo, ricerca e desiderio di ricostruzione.

Ci sono dolori che rischiano di distruggerci, come la Gerusalemme devastata. Penso, ad esempio, a Rebecca, una bambina che ha vissuto poco. In situazioni così estreme, il dolore sembra senza uscita. Ma anche lì Santa Teresina ci mostra una via: l’atto di fiducia nel Signore.

La preghiera come respiro

Quando il re chiede a Neemia di spiegare la sua tristezza, lui prima di rispondere prega. Non improvvisa, non si lascia prendere dall’emozione, ma compie un brevissimo atto di fiducia: “Pregò il Dio del cielo”. Questo gesto mi colpisce, perché rivela la sua totale dipendenza dal Signore.

E ancora una volta Santa Teresina illumina questa scena. Lei sapeva affidarsi a Dio anche nei momenti più oscuri, quando le sembrava di non vederlo più. Per lei, al di là delle nuvole, c’era sempre il Sole. Chiamava questo affidamento un atto d’amore: si consacrava totalmente all’Amore misericordioso, certa che Dio non l’avrebbe mai abbandonata.

La concretezza della vita quotidiana

Un altro aspetto che mi ha colpito: Neemia non chiede al re qualcosa di irrealizzabile. Non chiede la luna, ma cose semplici e concrete: lettere, legname, permessi. Elementi pratici, necessari per ricostruire la città.

Così era anche la vita di Santa Teresina. Nel suo monastero non faceva grandi cose agli occhi del mondo, ma viveva di piccoli atti quotidiani: lavare fazzoletti, sopportare le difficoltà della vita comunitaria, accogliere con amore ogni piccola fatica. Anche io riconosco che la mia vita è fatta di gesti semplici: fare la spesa, preparare un piatto per chi amo, accompagnare una persona cara a una visita medica. È lì che si gioca la mia fedeltà e la mia testimonianza, come per Neemia e per Teresina.

La mano di Dio sulla mia vita

Alla fine Neemia riconosce che tutto ciò che gli è accaduto è dono di Dio: “Il re mi diede le lettere perché la mano benefica del mio Dio era su di me”. È un’affermazione che mi colpisce profondamente, perché anche io, nei passaggi della mia vita che non avrei scelto, posso scorgere la mano di Dio che mi guida.

Santa Teresina viveva questa consapevolezza con audacia e amore. Diceva di sentirsi la più amata da Dio, convinta che nessuno potesse ricevere più amore di lei. Era una certezza che le dava pace e forza. Forse Dio ama tutti così, ma lei sentiva su di sé un amore speciale e inconfondibile.

La mia preghiera

Ecco allora la mia preghiera: affido al Signore tutte le mie tristezze, le angosce, le fatiche e le distruzioni. Gli chiedo aiuto nelle cose concrete, perché desidero dedicargli ogni energia, ogni passo, per seguirlo fino in fondo, senza paura.

Ringrazio Santa Teresina per la sua testimonianza e le affido la mia vita, certo che con la sua intercessione anch’io posso sentire, come Neemia, che la mano del Signore è su di me.