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Il libro di Giona, che oggi concludiamo, è davvero affascinante. È già il terzo giorno che lo ascoltiamo nelle letture e ogni volta emerge una sfumatura nuova. Giona è un profeta ribelle, un uomo che fa fatica a stare al passo con il cuore di Dio. Nel quarto capitolo, quello finale, troviamo una scena curiosa e intensa: da un lato c’è Giona, furioso e indignato; dall’altro, Dio, che accoglie con misericordia la conversione di Ninive.

Giona prova un grande dispiacere, un vero bruciore interiore. È arrabbiato con Dio perché Egli si mostra compassionevole verso una città pagana, immensa, abitata da più di centoventimila persone, che al suo annuncio si converte in massa. La colpa di Dio, agli occhi di Giona, è di essere misericordioso, lento all’ira e di grande amore. È paradossale: ciò che dovrebbe essere motivo di gioia diventa per Giona motivo di sdegno.

Lo sdegno di Giona e il riflesso del nostro cuore

Giona conosce bene il Dio dell’Esodo, il Dio che si era rivelato a Mosè come misericordioso e pietoso. Ma proprio questa conoscenza lo irrita: la misericordia di Dio gli appare eccessiva, ingiusta. E in questo atteggiamento si rispecchia spesso anche il nostro cuore. Quante volte, sentendoci giusti o fedeli, rifiutiamo di perdonare chi “ha esagerato”, chi ha ferito troppo, chi non merita – a nostro giudizio – un’altra possibilità.

Anche noi, come Giona, possiamo dire “basta”, convinti che la misura sia colma. Nelle nostre relazioni familiari, nel lavoro, nella vita comunitaria, ci capita di reagire così. Lo sdegno nasce dal sentirci nel giusto, dal confronto con l’altro che riteniamo sbagliato. Così, come Giona che si siede fuori dalla città, anche noi talvolta ci isoliamo, rifiutiamo di condividere la gioia del perdono e restiamo prigionieri della nostra rabbia.

Dio però non reagisce come faremmo noi. Non sgrida Giona, non lo punisce. Non gli dà un “calcio nel sedere”, come diremmo noi, ma lo accompagna con pazienza, lo educa alla sua misericordia attraverso un dialogo sorprendente.

La lezione del ricino

Dio fa crescere accanto a Giona una pianta di ricino, che gli offre ombra e conforto. Giona si rallegra, finalmente qualcosa gli va bene! Ma il giorno dopo la pianta secca, e il profeta torna a infuriarsi, al punto da dire: “Meglio morire che vivere”. È un uomo orgoglioso, pieno di sé, incapace di accettare la logica divina.

Dio però continua a parlargli, con dolcezza e ironia: “Tu provi pena per una pianta che è nata e morta in una notte, e io non dovrei avere pietà di una città intera, con centoventimila persone e tanti animali?”. È una domanda che smonta la presunzione di Giona e la nostra. Solo quando sperimentiamo su di noi la misericordia di Dio possiamo imparare a essere misericordiosi con gli altri.

Ognuno di noi ha la sua “pianta di ricino”: un’esperienza, un evento, qualcosa che ci svela quanto siamo distanti dai pensieri di Dio. È importante riconoscerla, perché Dio, anche quando noi ci ribelliamo, non si adira con noi, ma ci invita a un dialogo. Il libro di Giona termina con una domanda aperta: il profeta accetterà la misericordia di Dio? Non lo sappiamo. E questa domanda rimane sospesa anche per noi: accettiamo o no la misericordia di Dio?

La misericordia accolta e donata

La domanda finale di Giona diventa la domanda di ogni credente. Sappiamo accogliere davvero l’immagine di un Dio misericordioso prima di tutto su di noi? Solo se lo facciamo possiamo diventare misericordiosi verso gli altri.

Ogni Eucaristia ce lo ricorda: Gesù è il dono d’amore per noi peccatori. Nella preghiera eucaristica riconosciamo di non essere degni di riceverlo, ma lo accogliamo come Salvatore. È da questa consapevolezza, dal sentirci perdonati e accolti, che nasce la capacità di guardare con tenerezza anche chi ci irrita, chi ci delude, chi ci ferisce — come accadde a Giona davanti a Ninive.

La preghiera del perdono

Nel cuore del Padre nostro troviamo il punto più delicato: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È questa frase che ci mette a nudo, che misura la nostra fede nella misericordia. Prima di tutto siamo noi a riceverla, a sentirci visitati dal dono e dalla tenerezza di Dio. Solo allora possiamo imparare ad avere pietà — verso i “Niniviti” delle nostre giornate, verso coloro che condividono con noi la fatica della vita quotidiana e delle nostre famiglie.

E così, nella pazienza di Dio con Giona, impariamo la strada del cuore nuovo: un cuore che sa accogliere e restituire misericordia.