Betania è un villaggio speciale. Lo sento come una casa che Gesù amava profondamente. Tornava spesso lì, in quella dimora che apparteneva a tre fratelli: Marta, Maria e Lazzaro. Oggi celebriamo la loro memoria, e ogni volta che penso a loro, li immagino come persone che hanno conosciuto il Signore da vicino, che gli hanno parlato, che hanno condiviso con Lui momenti semplici e intensi.
Nel Vangelo di oggi si percepisce chiaramente la bellezza della fede di Marta. Anche nel suo dolore, quando afferma: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”, c’è una fede profonda, un dialogo schietto con Gesù. E questo mi colpisce, perché descrive bene anche la nostra vita: il nostro desiderio che Dio intervenga, che cambi le cose, che ci risparmi certe sofferenze. Ma Gesù, anche in quell’occasione, non arriva subito. Aspetta. E questo attendere ha un senso: vuole dare qualcosa di più grande.
La Vita e la Risurrezione
Quando Gesù dice a Marta: “Io sono la Risurrezione e la Vita”, non sta parlando solo di un evento miracoloso o di un ritorno alla salute fisica. No, sta indicando se stesso come la sorgente di una vita piena, di una risurrezione che riguarda tutto l’essere. La risurrezione non è solo la vittoria sulla morte biologica, ma è vivere in relazione con Lui, in un legame d’amore che attraversa ogni tipo di morte.
In questi giorni sto meditando il Vangelo di Giovanni, e mi torna alla mente il dialogo tra Gesù e la Samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio…”. Anche Marta, Maria e Lazzaro devono scoprire questo dono. Gesù continua dicendo: “Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno.” Per me, questo è il cuore del Vangelo di oggi.
Vivere in Lui
Ma cosa significa davvero “vivere e credere in Lui”? Non è una frase astratta. È un’esperienza concreta, quotidiana. Vuol dire vivere con Lui, di Lui, in Lui. Per Marta, Maria e Lazzaro questo era già realtà, ma c’era bisogno di un passaggio ulteriore, che contemplasse anche il dolore della perdita del fratello. Un dolore attraversato dalla presenza di Gesù, che non è mai assente, neppure nei momenti più duri.
Quando Gesù chiede a Marta: “Credi tu questo?”, lei risponde con una delle più belle confessioni di fede del Vangelo: “Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.” Anche noi siamo chiamati ogni giorno a rinnovare questa professione, a viverla nel concreto, nelle relazioni, nelle difficoltà, nella fraternità.
L’amore che rende vivi
Vivere e credere in Gesù significa mettere al centro l’amore. La prima lettura lo dice con forza: “Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.” Vivere in Gesù è amare: amare Lui, amare i fratelli, amarci tra di noi. È il segno distintivo del discepolo. Certo, siamo anche capaci di farci del male, ma volerci bene è la cosa più bella che possiamo fare. È ciò che ci rende felici, in pace, profondamente uniti a Dio.
Ringrazio il Signore, perché ogni volta che riscopro quanto sia bello vivere e credere in Lui, sento che non morirò. Neppure nelle notti più buie, nelle prove più dure. Perché Gesù non ha paura di visitarci, neanche quando attraversiamo la morte, la sofferenza, lo sconforto. In quelle ore, Lui è lì. E noi non siamo mai abbandonati.