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Questa domenica ho sentito che le letture ci spingono a rovesciare il nostro modo consueto di vivere il rapporto con il Signore. Non è solo questione di “aspettare” Dio, ma di accorgerci che Lui passa, viene vicino, si ferma. Come accade ad Abramo quando, in un’ora calda e immobile, alza gli occhi e vede arrivare tre uomini. È attento, nonostante tutto: corre loro incontro con gioia, con desiderio di accoglienza.

Il Signore viene prima del nostro “essere pronti”

Abramo non sa chi siano quei tre uomini, non sa che è Dio stesso. Eppure li accoglie con cura. Questo è un dettaglio potente: il Signore viene anche se non lo riconosciamo subito, anche se non siamo “pronti”. Se fosse rimasto lontano, Abramo non avrebbe avuto l’occasione di fare quell’incontro. È lo stesso atteggiamento di Gesù nel Vangelo, che entra in un villaggio e viene accolto da Marta.

Gesù ama camminare, visitare, non restare fermo. Passa, entra nelle nostre case, anche se sono in disordine, anche se non siamo “a posto”. Come con Zaccheo: "oggi devo fermarmi a casa tua", anche se sei peccatore, anche se tutti ti giudicano. Questo dice molto del cuore di Dio.

Come rispondiamo al passaggio del Signore?

La seconda domanda che mi sono posto è: come accogliamo il Signore? Abramo lo fa con uno spirito semplice, umile, coinvolgendo anche Sara. Si dona completamente, con quel che ha di meglio. Marta, invece, nella sua generosa accoglienza, cade in una trappola: si distrae, si preoccupa, finisce per lamentarsi di Maria e addirittura di Gesù. Gli dice: "non ti importa nulla?" Quante volte lo facciamo anche noi nella preghiera? Ci sentiamo dimenticati, abbandonati. L'accoglienza, dunque, non è una cosa scontata. Richiede attenzione, consapevolezza.

Accogliere oggi: non solo parole

Mi sono chiesto: accogliamo davvero il Signore anche come comunità? La risposta non è teorica. Oggi nel nostro salone parrocchiale pranziamo con le famiglie di Gaza che Bologna ha accolto dal 7 ottobre per motivi di salute. La comunità musulmana ha organizzato tutto, e a noi è stato chiesto solo uno spazio. Ma come le abbiamo accolte, queste famiglie? Come cristiani, come cittadini?

Accogliere è un atto concreto, e a volte il Signore ci passa accanto con volti nuovi, sconosciuti. Non possiamo fermarci all’idea che "dobbiamo essere accoglienti". Il Vangelo ci chiede un passo in più.

Il dono del Signore: la sua Parola

Quando il Signore entra nelle nostre case, porta un dono. È il centro del Vangelo di oggi: Maria si mette ad ascoltare. Le sue parole sono vita, consolazione, insegnamento. Sono pace. E questo ascolto non è una condizione da avere prima: è proprio ascoltando che troviamo pace, che entriamo in una stabilità profonda. Gesù dice che è “la cosa necessaria”, quella che nessuno potrà toglierci.

Quante cose possono crollare nella nostra vita, ma la Parola di Dio, se la accogliamo, rimane. È un tesoro che cambia il nostro modo di vivere.

L’ascolto diventa annuncio

Penso anche a san Paolo. Lui ha vissuto tutto questo fino in fondo: ha sofferto, ha viaggiato, ha dato tutto per annunciare quella Parola, quel mistero: “Cristo in voi, speranza della gloria”. Che bello! Cristo è in noi, ci abita, è la nostra speranza. Paolo lo gridava con la vita, non solo con le parole.

Anche noi, oggi, siamo chiamati non solo ad accogliere e ascoltare, ma a portare questo dono agli altri. Non si tratta di fare prediche, ma di vivere in modo rinnovato, così che la nostra vita stessa diventi testimonianza. Come lo raccontiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, che Cristo abita in noi?

Conclusione: Cristo in noi, speranza della gloria

In questa domenica ho davvero ringraziato il Signore. Perché passa ancora, si lascia accogliere, ci parla, ci consola, ci dona fecondità anche dove pensavamo che la vita fosse spenta. E ci dà la forza dello Spirito per portarlo agli altri.

Cristo in noi, speranza della gloria: è la verità che mi porto nel cuore oggi. E voglio viverla ogni giorno, con semplicità e gratitudine.