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Parto da quell’immagine potente dei lebbrosi che si fermano “a distanza” quando incontrano Gesù. È un dettaglio che mi ha profondamente colpito: quella distanza dice molto della loro condizione, ma anche della nostra. È come se in quel gesto si riflettesse la realtà della nostra vita e della nostra relazione con Dio — una relazione in cui, spesso, ci sentiamo lontani, esitanti, incapaci di avvicinarci fino in fondo.

La distanza fisica e la solidarietà nella sofferenza

Questa distanza, anzitutto, è fisica. I lebbrosi, secondo la legge, dovevano restare lontani dagli altri per non contagiarli. Eppure, c’è qualcosa di toccante nel fatto che vivano insieme, condividendo la stessa condizione. Nella loro esclusione nasce una forma di solidarietà, una comunione tra feriti che si sostengono reciprocamente nel dolore.

La distanza morale e spirituale

Ma la distanza non è solo fisica. È anche morale, interiore. È la lontananza che nasce dal sentirsi indegni, dal peso del peccato, dall’incapacità di sentirsi parte della comunità o di avvicinarsi a Dio. È quella sensazione di non poter stare davanti a Lui, di non essere degni di guardarlo in volto. È questa la vera lebbra del cuore.

Figure bibliche della lontananza: Naaman e il ricco con Lazzaro

Mi vengono in mente molti esempi biblici di questa lontananza. Naaman il Siro, nella prima lettura, è un pagano, uno straniero, che deve attraversare una grande distanza per cercare guarigione dall’uomo di Dio. E poi Lazzaro e il ricco: fisicamente vicini, perché uno giace alla porta dell’altro, ma spiritualmente lontanissimi. Quell’abisso di indifferenza che li separa diventa, alla fine, un abisso eterno, nell’aldilà.

Zaccheo, il figlio prodigo e il pubblicano

Anche Zaccheo vive una distanza: è piccolo e deve salire sull’albero per riuscire solo a vedere Gesù. Il figlio prodigo, invece, si allontana fisicamente e moralmente, ma quando ritorna, il padre lo scorge da lontano e gli corre incontro, colmando la distanza con l’amore. Lo stesso accade nella parabola del fariseo e del pubblicano: il fariseo si sente vicino a Dio, ma in realtà è lontano; il pubblicano, invece, prega da lontano — “abbi pietà di me” — e proprio in quella distanza riconosce la verità del suo cuore.

Il ladrone sulla croce e la distanza del popolo in esilio

Penso anche al ladrone sulla croce. È accanto a Gesù, vicinissimo fisicamente, eppure sa di essere lontano per colpa del suo peccato. Eppure, nel suo riconoscere l’innocenza di Gesù, quella distanza si dissolve: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Anche tutta la storia d’Israele è segnata dalla lontananza: l’esilio, la perdita del Tempio, la nostalgia della terra e di Dio. I salmi sono pieni di questo grido di distanza: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” — parole che Gesù stesso pronuncia sulla croce. La lontananza non è solo da Dio, ma anche dagli altri: “I miei amici mi stanno a distanza”. È la solitudine che a volte viviamo perfino nelle nostre famiglie.

La distanza nei rapporti umani

Quante volte ci capita, infatti, di essere vicini nel corpo ma lontani nel cuore — tra marito e moglie, genitori e figli. Manca il dialogo, l’ascolto, il perdono. Si costruiscono muri invisibili che rendono estranei anche coloro che amiamo. Questa distanza descrive la nostra vita quotidiana e, come i lebbrosi, cerchiamo un modo per ridurla, per sanarla.

Gesù, colui che accorcia la distanza

Gesù è sempre impegnato in questo: ridurre la distanza. Lui, che è la massima distanza tra cielo e terra, la colma facendosi uomo, venendo a vivere in mezzo a noi. Tocca il lebbroso, nel Vangelo di Luca, per guarirlo: un gesto impensabile. Persino il suo cammino verso Gerusalemme, attraverso Samaria e Galilea — un itinerario geograficamente “sbagliato” — mostra la sua volontà di andare verso chi è lontano, di farsi prossimo ai lebbrosi, agli esclusi. Gesù è il Dio che non sopporta la distanza.

Due vie per accorciare la distanza: la preghiera e la fiducia

E noi, cosa possiamo fare per accorciare la distanza da Lui? I lebbrosi ci insegnano due vie. La prima è la preghiera: anche da lontano, gridano “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi”. Lo chiamano per nome, lo riconoscono come maestro e affidano a Lui la loro miseria. È una preghiera umile, profonda, come quella dei salmi: “Dal profondo a te grido, Signore”. Gesù ascolta questo grido e risponde con un comando: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Non li tocca, non si avvicina, ma chiede loro un passo di fede. E nel cammino, obbedendo alla parola, scoprono di essere guariti. La preghiera, quindi, non solo chiede, ma mette in moto la fiducia.

La seconda via: il ritorno e la gratitudine

La seconda via è quella del samaritano, l’unico che torna indietro per ringraziare. Lo straniero riconosce la grazia ricevuta, torna lodando Dio e si prostra ai piedi di Gesù: la distanza si annulla nell’adorazione e nella gratitudine. Anche noi, venendo all’altare, facciamo questo — ci avviciniamo per ringraziare, per accogliere la sua presenza nel corpo e nel sangue, per sentirci di nuovo partecipi della comunione con Lui. L’Eucaristia è il nostro “grazie” che riavvicina.

Il valore del ringraziamento

Gesù nota il ringraziamento. “Non si è trovato nessuno che tornasse a ringraziare?”. Quel gesto è prezioso ai suoi occhi, perché non è solo riconoscenza, ma fede viva. Per questo al samaritano dice: “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato”. Non è più solo una guarigione fisica, ma una vera salvezza, una vita nuova che comincia nella comunione ritrovata.

Paolo, la lontananza e la comunione nella sofferenza

Anche Paolo, nella lettera che abbiamo ascoltato, vive la distanza: è in catene, lontano dai suoi fratelli. Ma quella lontananza diventa comunione, perché è unita alla sofferenza di Cristo. “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo.” Questa parola mi colpisce: morire con Lui significa accettare la nostra condizione di distanza, come il figlio che torna al padre umiliato ma desideroso di comunione. È il morire alla nostra presunzione, al nostro peccato, per lasciarci accogliere. Gesù, morendo con noi e per noi, annulla ogni lontananza.

Gesù muore con noi

È commovente pensare che Gesù muore insieme a noi. Muore al nostro peccato, sulla croce, per colmare definitivamente quella distanza che nessuno di noi avrebbe potuto superare da solo. È il mistero di un Dio che si fa vicino fino alla fine, che entra nella nostra lontananza per trasformarla in comunione.

La Pasqua come passaggio dalla lontananza alla comunione

Riprendo la riflessione sul passo di Paolo: «Se moriamo con lui, con lui anche vivremo». È un’affermazione che racchiude il cuore della fede. Gesù vuole vivere con noi, non solo dopo la morte, ma già ora, in questa vita. La Pasqua non è soltanto un evento futuro: è un passaggio che accade già oggi, quando da lontani diventiamo vicini, quando permettiamo a Cristo di condividere con noi la nostra vita, la nostra fragilità, la nostra umanità ferita. È una comunione che comincia qui, in questo presente concreto.

Cristo vuole vivere con noi oggi

Gesù desidera vivere con ciascuno di noi già ora, non solo nella vita eterna. Non vuole essere un Dio distante o relegato al cielo, ma un compagno del nostro quotidiano, come lo è stato con il Samaritano che ha riconosciuto la sua presenza e l’ha ringraziato. Cristo vuole condividere la nostra vita oggi, abitare le nostre giornate, entrare nella nostra storia concreta.

Perseverare nel cammino della vicinanza

Poi Paolo aggiunge: «Se perseveriamo, con lui anche regneremo». Questa parola “perseverare” è preziosa perché descrive un cammino: non basta avvicinarsi una volta, occorre restare in quel desiderio di vicinanza. È un movimento continuo di conversione, una fedeltà quotidiana che non si stanca. Perseverare significa non abbandonare la relazione, non fuggire di nuovo, non tornare indietro verso le nostre lontananze interiori.

La fedeltà che libera dal peccato

La perseveranza è una fedeltà che si traduce nel non rinnegare il Signore, nel non permettere che i peccati — anche quelli più piccoli, abituali — ci allontanino da Lui. È un esercizio costante di libertà: scegliere ogni giorno di lasciarci alle spalle ciò che crea distanza. È così che la nostra vita diventa un lento ma reale avvicinamento al cuore di Dio.

Regnare con Cristo

Ed ecco la promessa: chi persevera regnerà con Lui. È sorprendente pensare che Gesù, il Figlio di Dio, voglia non solo vivere con noi, ma anche farci partecipi del suo regno. Noi, poveri peccatori, siamo chiamati a condividere la sua gloria. È il dono più grande della redenzione: la comunione trasformata in regalità, la povertà che diventa partecipazione alla sovranità dell’amore di Dio.

L’immagine del ladrone e la grazia che colma la distanza

Penso allora al ladrone sulla croce. Gesù gli dice: «Oggi sarai con me nel paradiso». Quel “oggi” è la parola che riassume tutto: la salvezza è adesso, la vicinanza è già iniziata. Come i lebbrosi, anche noi siamo salvati non perché ne siamo degni, ma perché Cristo ha colmato la distanza. E per questo lo ringraziamo: perché per Lui la nostra lontananza non è mai un ostacolo, ma un’occasione per ricominciare, per riabbracciarci, per restituirci a sé per sempre.