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Non è mai stato facile il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Ma stavolta sembra davvero un’impresa molto complessa. La vertenza è ferma da quattro mesi, ma soprattutto sembra essere entrata in un vicolo cieco nel quale tutti sembrano avere ragione, quindi, alla fine si trovano tutti dalla parte sbagliata.


I problemi sono iniziati quando è stato affrontato il capitolo del salario, perché i sindacati hanno chiesto un aumento dei minimi retributivi di un certo spessore. Alla base della loro richiesta il fatto che i salari italiani sono tra i più bassi di quelli praticati nei paesi altamente industrializzati. E poi l’inflazione degli scorsi anni ha falcidiato il potere di acquisto. Per fortuna i meccanici avevano scelto una particolare modalità di calcolo degli aumenti, che ha consentito loro di recuperare buona parte di quanto perso, ma questo non significa che nuotino nell’oro. Ma soprattutto i sindacati della categoria sanno, e lo dicono a gran voce, che una crescita dei salari farebbe bene al sistema Italia, perché consentirebbe di aggredire uno dei mali più perniciosi della nostra economia, la debolezza della domanda interna.


Aumentate i salari come vi abbiamo chiesto, affermano i sindacalisti agli imprenditori, e questo aiuterà la ripresa dell’economia. E in aggiunta chiedono una riduzione dell’orario di lavoro, che potrebbe far crescere l’occupazione, quindi la domanda e anche le entrate fiscali. Sarebbe un modo, affermano, per far ripartire il sistema, rafforzandolo. Il ragionamento non fa una piega, come confermano fior di economisti, ma la domanda vera è un’altra, il sistema della produzione se lo può permettere?