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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8282

IL LIMBO E I BAMBINI MORTI SENZA BATTESIMO di Luisella Scrosati
 
Premetto che si tratta di una questione dibattuta: non abbiamo su questo tema un insegnamento definitivo della Chiesa, sebbene si debba notare che la dottrina sul Limbo dei bambini - adesso vedremo che cos'è e come si è sviluppata - sia stata ritenuta da alcuni teologi dottrina comune e abbia trovato spazio anche all'interno di un catechismo molto conosciuto e molto importante, come il Catechismo di San Pio X.
Il primo pronunciamento magisteriale importante, di peso, su questa questione risale al 385. Si tratta di una lettera di papa Siricio al vescovo Imerio. In questa lettera, tra le altre cose, il Papa esorta a battezzare i bambini quanto prima «perché non accada che uscendo da questo mondo qualcuno perda sia il Regno che la vita». È evidente che si riferisce all'uscire da questo mondo senza battesimo. Questa espressione manifesta una verità profonda e cioè che il battesimo è necessario alla salvezza. Ne riparleremo quando vedremo i sacramenti, ma intanto ricordiamo che questa verità si fonda sulle parole stesse del Signore: «Chi non rinasce dall'acqua e dallo spirito non può entrare nel regno dei cieli» (cfr. Gv 3, 5). La Chiesa, sempre sulla base delle Scritture e non per propria fantasia, ha ampliato la questione mostrando che oltre al battesimo sacramentale, cioè con l'acqua, esistono altre due forme: il battesimo di sangue, che si riceve con il martirio, confessando Cristo, e il battesimo di desiderio. Il desiderio può essere esplicito, manifesto, come nel caso dei catecumeni, nel caso dovessero morire prima di ricevere il battesimo, o implicito, occulto, dunque conosciuto solo da Dio che scruta i cuori, vedendovi il desiderio della redenzione di Cristo.
Risale al 417 un altro insegnamento importante, stavolta di Innocenzo I: «Che agli infanti possa essere donato il premio della vita eterna anche senza la grazia del battesimo è grande stoltezza». Quindi, in un tempo piuttosto ravvicinato, due pontefici ci dicono in sostanza che: 1) i bambini che escono da questo mondo senza essere battezzati perdono il Regno (Siricio); 2) è stolto pensare che ai bambini possa essere data la vita eterna senza la grazia del battesimo (Innocenzo I).
UNA QUESTIONE DIBATTUTA
L'anno successivo, nel 418, un concilio regionale ma importante, ai tempi di sant'Agostino, ovvero il concilio di Cartagine - che era una grande e importante regione ecclesiastica - proprio sulla base di questa asserzione di Innocenzo I, il quale era ben cosciente di questa questione dibattuta all'interno delle Chiese africane, condannava l'esistenza di un luogo «dove vivono come beati i bambini che morirono senza battesimo, senza il quale non possono entrare nel regno dei cieli». Quindi è anatema chi ritiene che esista un luogo dove i bambini morti senza battesimo possano vivere come beati, dunque godendo della visione beatifica.
Ora, questa non è una lectio magistralis sul tema; si potrebbero riportare molte più citazioni, ma ci bastano queste tre, tra le più antiche, per capire una cosa importante: questi e altri testi magisteriali mostrano con grande chiarezza e anche con costanza che non si può affermare in linea generale che i bambini che muoiono senza battesimo siano salvati, nel senso che possano godere della beatitudine eterna. Il minimo che si possa dire, secondo questo insegnamento che affonda le sue radici nei primi secoli della storia della Chiesa e viene ribadito con una certa costanza, è che non è possibile affermare che in generale morire con o senza battesimo sia la stessa cosa perché in entrambi i casi i bambini possono godere della visione beatifica.
Cosa c'è dietro a questa idea? Di nuovo, è l'idea fondamentale nella presente economia salvifica, che Dio stesso ha stabilito, che la Chiesa non ha altri mezzi, diversi dal battesimo, per dare la vita eterna ai bambini prima dell'uso di ragione. Perché, se riflettete, l'altra forma di battesimo, quella di desiderio, è un'ipotesi, una possibilità accessibile a chi è in grado di esprimere un desiderio, quindi è dotato di un sufficiente grado di ragione. Non perché i bambini non siano dotati di ragione, ma perché la loro razionalità si deve sviluppare secondo un normale iter di natura. Possiamo dire che fino a una certa età hanno la razionalità in potenza, la possibilità di scegliere in potenza, ma non ancora in atto, non ancora effettiva.
LA RIFLESSIONE DEI PADRI E DELLA SCOLASTICA
Per queste ragioni, la riflessione dei Padri prima e della Scolastica poi va in una direzione ben precisa, cioè si sposta verso un'altra questione: posto che i bambini morti senza battesimo non possono essere salvati, che ne è della loro sorte eterna? Ed è qui che abbiamo un ampio cambiamento: mentre sulla questione della salvezza c'è una costanza, per cui mai abbiamo trovato un insegnamento magisteriale che dicesse che i bambini morti senza battesimo si salvano a prescindere, sulla loro sorte eterna - cioè sulla risposta alla domanda "che ne è di loro?" - abbiamo avuto una variazione, uno sviluppo.
Riassumo questo sviluppo secondo questa linea di direzione: 1) in un primo tempo, alcuni Padri, tra cui sant'Agostino, hanno parlato di "pena mitissima", cioè ci sarebbe una pena, ma molto mitigata dal fatto che questi bambini non hanno evidentemente delle colpe personali, ma hanno ereditato come tutti gli uomini il peccato originale, che gli è rimasto perché non hanno ricevuto il sacramento del battesimo; 2) poi, il transito a uno stato di beatitudine di natura, che possiamo ritenere come lo stadio più maturo.
Ora, quello che è chiarissimo in questo sviluppo è che si esclude il fatto che questi bambini possano essere dannati, cioè che questi bambini possano soffrire quelle pene che i dannati soffrono, in quanto evidentemente non hanno colpe personali. Dunque, sarebbe ingiusto ipotizzare una pena, anche mite, di questo tipo. E tuttavia rimane la pena legata alla colpa originale, che accomuna tutta la stirpe umana. E qual è questa pena? Ne abbiamo già parlato nelle due precedenti catechesi, in quanto era ciò che caratterizzava la situazione del Limbo dei patriarchi, cioè il fatto di non poter accedere alla gloria eterna, non poter entrare nella beatitudine eterna, perché con il peccato originale i cieli si sono chiusi; e non si sono semplicemente riaperti con la redenzione di Cristo, perché la redenzione di Cristo, nell'attuale economia salvifica, giunge attraverso il battesimo.
Un interessante pronunciamento di Pio VI, la bolla Auctorem fidei del 1794, ha difeso esplicitamente la dottrina del Limbo, cioè una condizione in cui «abbiamo la pena del danno senza la pena del fuoco». La pena del danno è la privazione della beatitudine eterna dovuta al peccato originale; la pena del fuoco è la pena dovuta ai peccati personali, che viene espiata nel Purgatorio per le anime che si salvano; nell'Inferno, invece, per le anime che hanno rifiutato la salvezza di Cristo. Ora, il punto forte di questa posizione del Limbo sta nel fatto che non c'è altro mezzo, all'infuori del battesimo, per comunicare la vita soprannaturale al bambino che non ha ancora l'uso di ragione. E questo è ribadito dallo stesso papa Pio VI: «Senza il battesimo non vi è altro mezzo per comunicare questa vita al bambino che non ha ancora l'uso di ragione». Dall'altra parte, però, essi non pagano, non possono pagare per colpe che non hanno compiuto. Dunque, diciamo che nella sua formulazione più matura il Limbo è ciò che armonizza queste due verità importanti.
UNA NUOVA RIFLESSIONE TEOLOGICA
Tuttavia, questa posizione non nasconde alcuni punti deboli, alcune vulnerabilità, di fronte alle quali anche papa Benedetto XVI aveva chiesto in qualche modo una nuova riflessione teologica sul tema.
Dopo questa apertura, c'è stata nel 2007 la pubblicazione di un documento da parte della Commissione Teologica Internazionale, che ha riesaminato un po' la questione e ha riaperto il tema. Sui giornali è uscito un po' di tutto, tipo che il Papa aveva abolito il Limbo, ma la realtà è un po' diversa. Questo documento affronta due domande importanti, che - come dicevo - sono un po' il vulnus della prospettiva del Limbo, che costituisce una condizione di privazione della pena, di ogni pena dei sensi, di ogni pena che è caratteristica dell'Inferno o dello stesso Purgatorio, ma nel quale rimane presente la pena dovuta al peccato originale. Dunque, la visione teologica più matura riteneva questa condizione come una condizione di beatitudine naturale, non soprannaturale: è difficile descrivere questa cosa, ma questo era il punto d'arrivo.
Il primo dei suddetti punti deboli era la conciliazione di questa dottrina del Limbo con la volontà salvifica universale di Dio. Perché? Si è detto che Dio vuole salvare tutti: dalla Scrittura è evidente questa volontà, che Dio vuole salvare tutti gli uomini. Ora, che molti uomini di fatto non si salvino per colpa propria non lede questa volontà salvifica, perché rimane la parte dell'uomo, la sua resistenza a questa volontà. Ma dall'altra parte ci troviamo con dei bambini che di per sé non pongono un ostacolo a questa salvezza. E dunque come si concilia la volontà salvifica di Dio con la condizione di non beatitudine eterna di questi bambini?
La seconda questione ammessa parte dal fatto che c'è la volontà salvifica universale di Dio e, dall'altra parte, abbiamo la necessità del battesimo; tuttavia si è fatto giustamente notare che noi uomini siamo legati ai mezzi di salvezza, ma non Dio: Dio può salvare le anime anche senza i mezzi che Egl