Un povero, un poliziotto, un muto e un cavallo si ritrovano in una sorta di terra di nessuno. Aspettano qualcuno che forse non arriverà, mentre discutono di alcune questioni sociali fondamentali: la distribuzione del reddito, le disuguaglianze, la povertà. Le delusioni del mito del progresso diventano allora oggetto di un dialogo tra personaggi apparentemente inconciliabili, che lentamente scoprono di avere in comune più di quanto pensassero. E poi c’è quel segno Z, che li spinge a scambiarsi i ruoli: come in una quadriglia, in cui ciascuno, a turno, prende il posto dell’altro.
«La maschera di Zorro – spiega Antonio Latella, regista e coautore assieme a Federico Bellini – è un’evoluzione borghese dei nostri zanni. “Zanni” e “Zorro” iniziano con la stessa lettera: è lei la vera eroina. Hanno cercato di convincerci che gli ultimi saranno i primi e forse ci abbiamo creduto. Credo che la lettera Z racchiuda in sé tutte le implicazioni che possono derivare da questa frase».