Il ricco e Lazzaro
Il Vangelo di oggi ci mette davanti una parabola che smaschera le nostre abitudini e i nostri silenzi: il ricco epulone e il povero Lazzaro. Un uomo anonimo, senza nome, e un povero ricordato da Dio con il suo nome. Già qui il messaggio è chiaro: per il mondo contano i potenti, per Dio contano i volti feriti, le storie dimenticate, i nomi che nessuno scrive.
Il peccato dell’indifferenza
Il ricco non viene accusato di violenza o crudeltà. Non ha scacciato Lazzaro. La sua colpa è peggiore: non lo ha visto. L’indifferenza diventa il suo vero peccato, più feroce della violenza, perché lascia morire senza uno sguardo, senza un gesto, senza un nome.
Un tempo che scrolla via il dolore
Viviamo in una società che scorre immagini di guerre, naufragi, femminicidi come fossero notizie da dimenticare. È questo il lusso del ricco: potersi permettere di non vedere. Ma la parabola ci ricorda che la morte svela la verità: ciò che scegliamo qui, ci accompagnerà per l’eternità. Se viviamo chiusi nell’indifferenza, un giorno ci scopriremo soli per sempre.
Le cuffie sul cuore
L’indifferenza è come una cuffia che ci isola: la voce dell’altro c’è, ma non arriva a noi. Così rischiamo di non sentire più nemmeno la voce di Dio. Perché la sua parola non ci raggiunge fuori dalla storia, ma attraverso i fratelli che bussano alla nostra porta.
I segni sono già qui
Il ricco vorrebbe un miracolo per i suoi fratelli, ma la risposta è chiara: “Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro”. Non servono segni straordinari: i segni sono già dati, nei poveri che ci vivono accanto, negli esclusi che incontriamo ogni giorno. Il problema non è l’assenza di segni, ma la sordità del cuore.
Una fede che tocca la carne
Il Vangelo ci provoca: non esiste fede autentica che non diventi prossimità. Non c’è Dio senza l’altro. Non c’è spiritualità senza servizio. La salvezza non è questione di privilegi, ma di amore vissuto o negato. Alla fine non ci sarà chiesto quanto abbiamo accumulato, ma quanto abbiamo condiviso.
La domanda che resta
Ecco la sfida: riconoscere i Lazzaro che siedono alle nostre porte. Fermarsi, ascoltare, toccare le ferite. Perché Dio si lascia incontrare lì.
E la domanda che brucia rimane: se oggi Lazzaro fosse davanti a me, lo vedrei o sceglierei ancora una volta di passare oltre, con le cuffie del cuore ben alzate?