“Sto davvero vivendo… o sto solo sopravvivendo?”
È con questa domanda — semplice solo in apparenza, ma capace di scavare nelle profondità dell’anima — che il Vangelo di oggi ci interpella con forza. Un uomo interpella Gesù per una questione di eredità familiare. Ma il Maestro, come spesso accade, non risponde alla superficie del problema. Va più in profondità. Non parla del denaro, ma del cuore. Non si lascia trascinare nella disputa, ma apre uno squarcio sul senso ultimo della vita.Così nasce la parabola dell’uomo ricco: previdente, organizzato, efficiente. Uno che sa accumulare, pianificare, moltiplicare. E che alla fine, quando tutto sembra finalmente sistemato, si dice: “Ora puoi riposarti, mangiare, bere e divertirti.”Quante volte lo diciamo anche noi?
“Quando avrò finito questo periodo, allora vivrò.”
“Quando tutto sarà a posto, amerò di più, pregherò di più, mi dedicherò di più…”
E intanto rimandiamo la vita.Ma il Vangelo — con un colpo netto, come un’ascia che fende il legno — ci restituisce una verità scomoda, ma liberante:
la vita non aspetta. La vita non è dopo. La vita è ora.
“Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita.”Questo versetto non è una minaccia, ma un appello accorato a svegliarci, a non vivere come se fossimo immortali, a non illuderci che il tempo sia infinito, a riconoscere che la vera ricchezza non è ciò che abbiamo, ma ciò che doniamo.
Non ciò che tratteniamo, ma ciò che lasciamo fluire attraverso le nostre mani.Il Vangelo non è contro i beni. È contro la menzogna che i beni ci salvino.
È contro la seduzione del controllo. È contro la tentazione di vivere da “proprietari della vita”, dimenticando che ogni giorno è un dono, non un diritto acquisito.E allora, che significa arricchirsi davanti a Dio?
Significa vivere con le mani aperte.
Significa non aspettare di essere perfetti per amare, né di avere di più per iniziare a donare.
Significa riconoscere che tutto passa… tranne l’amore vissuto.In questa omelia, il richiamo alla vigilanza non è una condanna, ma una chiamata alla pienezza.A non rinviare il bene. A non soffocare il cuore sotto la coltre degli affanni e delle sicurezze.Mentre mi preparo a partire per Medjugorje, porto con me questa domanda:
Che cosa resterà davvero di me?
E la risposta non si misura in cose, titoli o successi.
Si misura in volti. In mani intrecciate. In perdoni dati. In amore condiviso.Il granai che contano non sono quelli pieni di beni.
Sono quelli riempiti di relazioni salvate, di lacrime asciugate, di abbracci veri.E se oggi fosse la mia ultima notte?
Ho amato abbastanza da essere pronto?
Ho vissuto abbastanza da non aver paura?
Questa omelia è un invito a non sprecare l’oggi.
Perché il Vangelo non ci insegna a fare di più, ma a vivere meglio.Non aspettare di avere tutto.
Ama. Adesso.
Perché solo l’amore vissuto oggi è eterno davvero.