La santità come partecipazione all’amore di Dio.
Mi interrogo su quanto la santità faccia realmente parte della mia vita e di quella degli altri. Spesso sembra un tema distante, quasi riservato a pochi, quando invece riguarda intimamente ciascuno di noi, perché la santità è relazione con Dio, l’unico veramente santo. Noi possiamo partecipare alla sua santità: significa essere abitati dall’amore con cui Dio stesso ama. Essere indifferenti a questo dono sarebbe come andare in giro con un sacco bucato: raccogli, ma non ti resta nulla, perché ti sfugge l’essenziale, cioè l’amore divino che ti abita. Per approfondire questo mistero, prendo spunto dal libro dell’Apocalisse di Giovanni, che non è un testo oscuro, ma una rivelazione — una apokálypsis nel senso letterale di “disvelamento”. È un invito a comprendere come Dio voglia introdurci nella sua realtà, renderci partecipi della sua santità. Il testo parla dei santi come coloro che sono segnati con il sigillo: un simbolo della pienezza del dono dello Spirito Santo. Ricordo, ad esempio, il sigillo ricevuto nella Cresima. Il numero simbolico di 144.000 non indica un gruppo ristretto, ma la totalità (12x12x1000): la pienezza dei figli di Dio. Poi, Giovanni parla di una moltitudine immensa che nessuno può contare. Questa immagine mi trasmette pace: non devo preoccuparmi di meritare o misurare la santità, perché è Dio stesso che se ne prende cura. È come quando qualcuno ti solleva da un compito difficile, non per umiliarti ma per alleggerirti. Così funziona l’amore di Dio: entra in noi come un seme che germoglia, trasformando la nostra vita dall’interno. Penso a questo amore come a una gestazione, un processo silenzioso ma potente, simile alla crescita di un bambino nel grembo materno: all’inizio tutto sembra ostile, ma poi l’ambiente si trasforma per accoglierlo e sostenerlo. Così l’amore di Dio, una volta accolto, inizia a cambiare tutto in noi.
– Le vesti candide e le macchie del peccato.
La santità cresce e si manifesta, dice l’Apocalisse, in coloro che stanno “davanti al trono dell’Agnello”, avvolti in vesti candide e con la palma della vittoria. Mi viene spontaneo pensare alle macchie sulla mia casula, causate distrattamente dal vino del calice. Le guardo e mi viene da riflettere: quelle macchie, che a prima vista sono segno di errore o distrazione, possono rappresentare il sangue dell’Agnello, cioè il luogo in cui la grazia di Dio si manifesta proprio nelle nostre fragilità. Quello che sembra un difetto o un segno di imperfezione può diventare, se accolto, il punto d’incontro tra la mia debolezza e la santità di Dio. È lì che Egli si rivela.
– La grande tribolazione e la chiamata universale alla santità
Rifletto su come spesso guardiamo noi stessi e gli altri solo attraverso le nostre miserie e peccati, dimenticando lo sguardo d’amore con cui Dio ci osserva. Chi si ferma al giudizio — su di sé o sugli altri — perde di vista il fatto che Dio, con la sua misericordia, trasforma le nostre vite rendendole sante. Siamo tutti chiamati alla santità, come ricordava San Paolo nelle sue lettere alle comunità cristiane, anche a quelle più imperfette. Nonostante le loro colpe, la vocazione alla santità resta universale, perché nasce dal desiderio stesso di Dio per noi. Nel dialogo tra Giovanni e uno degli anziani dell’Apocalisse, viene detto che i vestiti bianchi appartengono a coloro che vengono dalla grande tribolazione, che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. Questa immagine mi tocca profondamente: tutti noi viviamo la nostra “grande tribolazione”, attraversando peccati, prove, sfiducia. Siamo come un feto che deve ancora nascere alla luce, in un travaglio necessario ma pieno di speranza, perché c’è un amore che ci sostiene e ci porta. La santità, allora, non è un merito personale né una proprietà, ma una partecipazione all’amore di Dio che trasforma la sofferenza in vittoria. Le beatitudini evangeliche lo mostrano chiaramente: Dio chiama “beati” coloro che noi non definiremmo tali — i poveri, i perseguitati, gli afflitti — perché in loro si manifesta l’esperienza di Cristo stesso. Io credo che anche noi facciamo parte di quella “generazione che cerca il volto del Signore” come diceva il versetto del Salmo: stiamo attraversando la tribolazione, ma con la fiducia nell’esito finale, sapendo che l’amore con cui Dio ci ama è la nostra salvezza. È motivo di gioia ed esultanza, non solo per chi è già nella pienezza dell’amore di Dio, ma anche per noi che siamo ancora in cammino.