Nel viaggio simbolico dei tarocchi, dopo il caos creativo del matto ove tutte le possibilità sono in essere, ci troviamo di fronte all’archetipo del mago, enumerato dall’uno determinante l’inizio di qualcosa. Effettivamente il passaggio dal matto al mago è il movimento sottile dal caos primordiale (discesa nella Terra) allo sviluppo di un’ identità propria ed esclusiva (consapevolezza d’essere sulla Terra). Qui l’innocente precedente, il folle che vaga senza meta, si struttura, si conosce, non è più solo il viandante cieco e irrequieto ma diventa il mago cosciente del proprio potenziale, che s’interroga su come portare nella materia il principio creativo ancora in ipotesi, sommerso nel mondo delle idee. Personalmente credo che gli archetipi, come gli Dei, si pongono di fronte a noi innanzitutto come domande. Questo accade perché il quesito interiore smuove la coscienza ad un altro livello, dove le risposte non sono più affidate a un divino esteriore ma diventano veri e propri viaggi di autoconoscenza, in cui la chiave ‘ totale sincerità nell’ascolto del sé. Tralasciando l’approccio romantico quando si parla di maghi e magia dove nell’inconscio si delineano immagini pompose di alambicchi e strumenti vari (immagine reale quanto riduttiva) esiste la possibilità di riassumere i principi di questa disciplina in poche parole? Al di là dei rituali, delle conoscenze occulte, degli altari e delle invocazioni, quali sono le caratteristiche principali con cui si identifica un mago? Le parti di se di cui non potrebbe fare a meno per fare della sua esistenza qualcosa di sublime, fuori dall’ordinario? Quale tappa rappresenta il modello primordiale del mago, nel ciclo evolutivo dell’individuo?
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