A volte impiegava tre giorni per tornire una frase e per trovare la parola perfetta, sfrondando il testo di quei sinonimi sempre da lui sentiti come nemici perché incapaci di rendere nella loro pienezza il senso e il valore del termine scelto. Ancor prima che per i contenuti, Gustave Flaubert rappresenta un punto di riferimento per la forma, non concepita nella dimensione esornativa, ma come esemplare espressione di una identità culturale, in cui convergono umanità ed etica. “Il lettore – soleva dire lo scrittore francese – deve essere servito come in un ristorante di lusso. E il servizio reso non deve far dire niente di sé.
E’ a partire dalla parola che comincia il rapporto tra autore e lettore; ed è la parola che, alla fine, cristallizza e suggella tale rapporto”. Il rispetto per la dignità del lettore non passa comunque solo attraverso la parola, e l’accurata scelta che si fa di essa, ma coinvolge anche il concetto della realtà. Anche in tal senso è dato di ravvisare una spiccata componente etica, perché Flaubert sviluppò ben presto una vibrante tensione alla rappresentazione obiettiva e cruda di ciò che circonda l’uomo della strada, riconoscendo nel realismo il privilegiato strumento per denunciare i mali della società. Strategia narrativa questa che lo elevò allo stato di iniziatore del naturalismo nella letteratura francese, in quanto convinto fautore di una prosa che bandendo orpelli e fronzoli arrivasse – la penna intesa come un bisturi – al cuore delle persone e delle cose.
“Il linguaggio – scrive Flaubert – è simile ad un tamburo rotto su cui battiamo melodie per farci ballare gli orsi, mentre ciò che desideriamo è fare musica che commuova le stelle”. La grandezza di Flaubert sta proprio nell’essere riuscito a imporsi come uno scrittore in grado di suscitare emozioni e di scuotere quel guazzabuglio di sentimenti che alberga nell’animo di ciascuno pur forgiando uno stile espressivo freddo e imparziale, non cedendo a vaporosi sentimentalismi o a fioriture retoriche. Del resto, chi non ha provato brividi o sussulti nel seguire l’evolversi del dramma di Madame Bovary, il suo massimo capolavoro? Eppure a creare un’atmosfera gravida di sentimento non è un linguaggio che attinge a un vocabolario traboccante di parole ad effetto, ma è il rigoroso procedere di una prosa che sa toccare le corde dell’animo e farle vibrare modulando la musica interiore che abita nei diversi personaggi del dramma.
Significativo, al riguardo, è quanto affermò una volta Georges Simenon, che disse di riconoscere in Flaubert una grande affinità proprio per la sua capacità di emozionare tanto più il suo linguaggio p severo e spoglio. Il divario tra realtà e sogno, che porta Emma Bovary al suicidio, è esaminato dallo scrittore con un distacco solo apparentemente impassibile. Il tormento della donna acquista infatti sulla pagina un pronunciato rilievo, e il lettore non può non sentirsi partecipe di quella “cupio dissolvi” che investe, in modo letale, la sventura eroina.
Quando il romanzo fu pubblicato, suscitò l’ira dei pubblici inquirenti del Secondo Impero, che si dissero scandalizzati per l’immoralità e l’oscenità di cui il testo, a loro dire, era infelice e malaccorta espressione. Flaubert fu subito messo sotto processo, ma ne uscì assolto. Gli era stato rimproverato di maltrattare e offendere i suoi personaggi, calandoli in una realtà corrotta da brutture e falsità. Ma solo così - replicava lo scrittore - è possibile trarre dai libri e dalla letteratura gli insegnamenti utili e duraturi per la vita. Certo è che l’avvenimento, invece di lederne la figura, la promosse agli occhi del pubblico. Prova ne sia che la prima tiratura dell’opera, 6750 copie, andò esaurita in meno di due mesi.
Tuttavia lo scrittore, che era scampato ai rigori della legge, non seppe godersi pienamente il successo perché di esso si sentì defraudato dalla stessa Bovary, la quale per i lettori era diventata un mito. La delusione di Flaubert fu tale da indurlo ad esclamare: “Quella Emma che io ho creato mi ha rubato la gloria!”.
Gabriele Nicolò